Eugenio Lopopolo è nato a Bisceglie. Da dove non si sarebbe mai mosso – dicono i suoi migliori amici – se a suo tempo non fosse stata stoltamente chiusa la dimora dove poteva vivere tranquillamente a suo agio per tutta la vita*.
Seguendo un’ineludibile tradizione familiare, Eugenio si laurea in architettura, e poi svolge la professione dividendosi per alcuni decenni tra Bari ed il Principato di Monaco, dove nascono grandi affetti cardine della sua vita che si aggiungono a quello per la sua Enrica.
Durante tutti questi anni continua comunque a rimpiangere di non aver resistito al momento dovuto alla perentoria proibizione di dedicarsi all’arte, perché – lo sanno tutti – carmina non dant panem. Ma quando ormai il suo problema non è più quello di darsi pane, decide che è il momento di darsi all’arte.
E comincia a produrre opere che non solo gli danno ragione perché vengono subito ben accolte, ma gli cambiano anche la qualità della vita, perché la pratica della creatività facendo arte è molto più libera che progettando palazzi.
Intendiamoci, quello di un bravo architetto è pur sempre un lavoro esaltante, ma vuoi mettere come ci si sente realizzando, per esempio, “Molla con buco”?
G.L.
* Sino al 1978 Bisceglie (per i nativi Vescègghie – Vəʃɛ’ggjə) è stata sede di uno degli ultimi “manicomi” rimasti in Italia. Da cui, nella vulgata regionale, alle persone che fanno mattane o che hanno uno stile di vita che mal si concilia con la banalità del mainstream, tuttora si continua a chiedere: “Ma tu di dove sei, di Bisceglie?”
Nel suo uso più comune e diretto - quello della domanda spontanea, della curiosità sincera - il punto interrogativo è segno tanto umile quanto coraggioso. Molto più coraggioso del suo cugino chiassoso e spavaldo, quel punto esclamativo che, il più delle volte, si dà come verità indiscutibile, come affermazione definitiva e irrevocabile. L’interrogazione costruisce ponti laddove l’esclamazione spesso innalza barriere, oppone il dinamismo del dialogo all’inerzia del soliloquio, invita allo scambio, a una continua levigazione del senso e a una inarrestabile esplorazione della forma.
Proprio questa voglia di avventurarsi nella selva delle forme sembra animare - fin dalla loro stessa incerta definizione e dal punto interrogativo che è parte di essa - gli Ibridi? di Eugenio Lopopolo: composizioni astratte, al limite tra la pittura e la scultura, tra design e installazione.
È nota la massima di Goethe secondo cui il dubbio cresce con la conoscenza. Oltre a riflettere la volontà di non legarsi ad alcun significato risolutivo, il titolo Ibridi? segnala un percorso votato alla sperimentazione, quel campo sterminato dove il dubbio e la conoscenza sono soliti rincorrersi senza sosta. Questi Ibridi? vanno difatti intesi come il punto di raccordo tra più stimoli, esperienze e stati d’animo collezionati nel tempo: per esempio, tra la libertà dell’artista-bambino e il mestiere dell’architetto; tra il rigore della geometria e il gribouillage della mano libera; tra la conoscenza del disegno come teoria e la sua pratica come gioco spensierato.
In certe opere di Eugenio Lopopolo questo valzer tra opposti sembra quasi prendere forma nel movimento ricorrente delle linee, coloratissime, che irrompono da tutte le direzioni incontrandosi all’interno del quadro (Ibrido 2), così sovvertendone i confini tradizionali e contribuendo alla sua identità di oggetto composito, inusuale e dalla forte vocazione ludica.
Nella scelta dei colori e in quella delle forme, nelle dimensioni imponenti e nell’uso del trompe l’oeil (Ibrido 6), infine nei riferimenti all’estetica pop di Roy Lichtenstein - che ritroviamo nei contorni neri e spessi (Ibrido 7), nelle campiture piatte o nel vago richiamo dei cerchi ai polka dots (Ibrido 3) - gli Ibridi? non mirano infatti a suscitare solo domande in chi li osserva. Alla curiosità segue sempre lo sguardo stupito e divertito di cui essa stessa si alimenta, in un circolo virtuoso che costituisce la vera dimensione estetica degli Ibridi?: quell’incontro tra gioco e conoscenza, tra investigazione e sorpresa, dove non può che germogliare un’arte vivace, enigmatica e ricca di suggestioni.
Vittorio Parisi